BIOGRAFIA DI LUIGI AMEDEO DI SAVOIA-AOSTA, DUCA DEGLI ABRUZZI

[..]Va, principe giovane e giovane/ Italia! Nel pelago eterno,/ va, cerca il tuo Polo; va, trova/ nel mondo infinito il tuo perno!/ Va, in mezzo alla grigia bufera,/ va, dove s’incontra e s’indora/ con questa che sembra una sera/la subita aurora![..]
versi dedicati al Duca degli Abruzzi da Giovanni Pascoli, tratti da “Al Re Umberto

Figlio ter­zogenito di Amedeo, duca d’Aosta, e di Maria Vittoria, principessa Dal Pozzo della Cisterna, nacque a Madrid il 29 gennaio 1873, quattordici giorni prima che il padre abdicasse al trono di Spagna.

La famiglia rientra quindi a Torino e si stabilisce nel palazzo Cisterna. Luigi ha poco più di tre anni e mezzo quando nel novembre 1876 muore, a soli trent’anni, la madre Maria Vittoria, di salute cagionevole. E ne ha appena sei e mezzo quando nell’agosto 1879 viene arruolato come mozzo nella Regia Marina, per ricevere un’educazione militare, come da tradizione per i principi della casa reale, destinati a ricoprire alti gradi nelle forze armate.

Luigi trascorre gran parte delle sue vacanze in montagna, coltivando una passione condivisa da molti membri della famiglia reale, in particolare dalla principessa Margherita, dal 1878 regina d’Italia, che dedica una particolare cura ai tre nipoti rimasti senza madre. Durante l’estate il padre Amedeo affida i figli allo scienziato e frate barnabita Francesco Denza, che li introduce alla pratica sportiva dell’alpinismo intesa come strumento didattico per l’apprendimento delle scienze naturali e l’arricchimento spirituale.

Nel dicembre 1884 diviene allievo di prima classe della Regia Accademia Navale di Livorno e si imbarca a bordo della fregata Vittorio Emanuele, condividendo studi e addestramento con un altro figlio illustre, il coetaneo Manlio Garibaldi, figlio dell’eroe risorgimentale.

Compiuti i corsi dell’Acca­demia Navale, a 16 anni si imbarcò sulla R. N. A. Vespucci per una lunga crociera sulle due coste dell’America Meridionale; tenente di vascello nel 1893, sulla Volturno, visitava le coste dell’Africa orientale fino a Zanzibar, navigando poi nell’Atlantico e nel Mediterraneo. In quegli anni egli iniziò la sua educazione alpinistica sulle vette principali della catena del Monte Bianco e delle Alpi Pennine, e vi ritornò poi più tardi, nelle brevi vacanze della vita ma­rinara, conquistando difficili vette non prima salite da altri.

Nel corso di un viaggio di circumnavigazione fra l’ottobre del 1894 e il dicembre del 1896, sulla R. N. Cristoforo Colombo, ebbe la prima visione del Himalaya dalla stazione di Darjeeling nel Bengala e appena tornato in patria si accinse alla preparazione di una spedizione a una delle più alte vette della grande catena indiana. Costretto a rinunziarvi dallo scoppio di un’epidemia di peste e da una grave carestia nei piani prehimalayani, con decisione improvvisa scelse una meta interamente diversa, richiedente uno studio e mezzi nuovissimi, il Monte Sant’Elia dell’Alaska, alto 5514 m., coperto di ghiacciai che scendono alla costa dell’Oceano Pacifico all’incrocio del 60° parallelo col 141° meridiano O. La spedizione composta dal principe, U. Cagni, G. Gonella, V. Sella. F. De Filippi, quattro guide alpine e un assistente fotografo, lasciava l’Italia nel maggio 1897. Dopo cinque settimane di viaggio sbarcava in una baia del Pacifico settentrionale, ai piedi della catena. In 38 gior­ni furono percorsi i 90 km. di ghiacciai fra la costa e la vetta del Sant’Elia, che ven­ne raggiunta da tutta la spe­dizione il 31 luglio.

Seguì la spedizione polare artica, compiuta dal luglio 1899 al settembre 1900 dal principe, Umberto Cagni, F. Querini, A. Cavalli Molinelli, quattro guide alpine e tre rnarinai del Corpo reali equipaggi, sulla nave Stella Polare. Attraverso i canali dell’Arcipelago Fran­cesco Giuseppe riuscì a toccare la latitudine più alta raggiunta da una nave, 82° 4′, e si accinse allo sverno sulla costa dell’Isola Principe Rodolfo. Ai primi di settembre la pressione dei ghiacci in deriva per poco non distrusse la nave, e si dovettero preparare i quartieri d’inverno a terra. In una delle escursioni invernali con le slitte il principe fu sorpreso da una tempesta di neve, ed ebbe una mano congelata e due dita incancrenite. Dovette quindi rinun­ciare a condurre egli stesso la spedizione verso il nord e ne affidò il comando al Cagni, che si spinse fino alla latitudine di 86″ 34′, la più alta raggiunta fino allora.

Un secondo viaggio di circumnavigazione compì il principe nel 1903-1905 al comando della R. N. Liguria, col grado di ca­pitano di fregata: un viaggio di 53.600 miglia nautiche, traversando sei volte l’equatore, e toccando centoquattordici porti. Un anno dopo il suo ritorno, intraprese l’esplorazione della catena del Ruvenzori, situata fra i grandi laghi dell’Africa Equatoriale e. il bacino del Congo. Perennemente coperto da nebbie e da nubi, questo sistema di monti era quasi del tutto sconosciuto. In meno di due mesi il principe, con i suoi collaboratori Cagni, Cavalli Moli­nelli, Sella e Roccati, ne completò l’esplorazione e l’illustrazioni: in ogni sua parte: forma e topografia della catena, distribuzione e altezza delle vette, loro rapporti con le valli, caratteri ed estensione dei ghiacciai. Furono salite quattordici vette della catena di altezza superiore ai 4600 m.

Promosso capitano di vascello, ebbe il comando delle due navi Varese ed Etruria inviate agli Stati Uniti per le feste centenarie della fondazione della repubblica; poi della corazzata Regina Elena, in crociera nell’Atlantico settentrionale e nelle grandi manovre nel Mediterraneo. Al termine di due anni di navigazione, sullo scorcio del 1908, incominciò a preparare una nuova impresa. Egli voleva conquistare il primato dell’altezza in montagna come già aveva con­quistato quello della latitudine nel Mare glaciale artico. Scelse come meta il K2, di 8610 rn., o un’altra delle eccelse vette che si ergono attorno al ghiacciaio Baltoro, nella catena del Karakorum.

Alla metà del 1909 il principe con i compagni marchese F. Negrotto, il Sella e il De Filippi, sette guide alpine e l’assistente del Sella, era pervenuto sul Baltoro. Per più d’un mese rinnovò gli attachi alla grande piramide del K2; da S., da E., da O. Respinto dalle sue formidabili difese, si rivolse a un’altra vetta del bacino, il Bride Peak, alto 7654 rn. In un primo tentativo fu respinto da una tempesta di neve, a 7150 m. di altezza. Pochi giorni dopo, il 18 luglio, riusciva a raggiungere il sommo di un’isola di rocce affiorante sulla neve della cresta, a un’altitudine di 7500 m., 213 m. più su del punto toccato fino allora dall’uomo. Per due ore attese invano una schiarita della nebbia che gli permettesse di proseguire; ma dovette rinunciare a pervenire alla vetta. Quest’altezza non fu più superata dall’uomo fino ai tentativi di conquista dell’Everest, nel 1922, 1924 e 1933.

Promosso contrammiraglio alla fine del 1909, il principe tenne la direzione dell’arsenale marittimo di Venezia fino allo scoppio della guerra italo-turca (29 settembre 1911), quando fu nominato ispettore delle siluranti, con la missione di vigilare il litorale albanese da Valona a Prevesa. Le operazioni di guerra, iniziate con l’affondamento di torpediniere nemiche, vennero interrotte dal veto austriaco contro azioni nell’Adriatico e nello Ionio. Nominato viceammiraglio nel maggio 1912, dopo la pace con la Turchia, per un anno ebbe il co­mando della piazza marittima della Spezia. Poi riprese il comando di squadra, fino allo scoppio della guerra mondiale, quando venne nominato comandante in capo delle forze navali. Trascorse il periodo di neutralità dell’Italia curando l’efficienza delle forze affidateci.

Poi, per due anni, diresse tutta l’azione guerresca della marina italiana e delle flotte riunite degli alleati in Adriatico, La campagna culminò col salvataggio dall’esercito serbo: oltre 150.000 profughi trasportati da Medua. Durazzo e Valona a Corfù, a Brindisi e all’Asinara, senz’alcuna perdita. Organizzò poi il trasporto del corpo di occupazione di Salonicco, e l’occupazione di punti strategici sulla costa adriatica orientale in appoggio all’esercito operante in Albania. Nei primi giorni del febbraio 1917 il principe cedeva il comando dell’armata e si congedava dagli stati maggiori e dagli equipaggi della flotta.

Nel 1919, egli si recava nella Somalia Italiana con alcuni tecnici e geografi, per studiare la possibilità di fondare una colonia agricola sul corso inferiore dello Uebi Scebeli. In dieci anni di assiduo lavoro una fiorente azienda sostituiva la boscaglia incolta nella regione scelta di Scidli. L’alimentano le acque dello Uebi Scebeli, sfrut­tate con estesi lavori idrici e con una fitta rete di canali; 150 km. di strade, una ferrovia economica, magazzini, officine, laboratori e impianti industriali assicurano l’autonomia della colonia, che si stende attorno al Villaggio Duca degli Abruzzi, sede della direzione.

All’inizio degli anni venti, il Duca ebbe una relazione molto seguita dalla stampa italiana e d’oltreoceano, sempre attenta agli scandali che riguardavano le teste coronate, con una ricca ereditiera americana, Katherine Elkins figlia del re del carbone e dell’acciaio, il senatore americano Davis Elkins, ma il cugino del Duca, il Re Vittorio Emanuele III (e soprattutto la regina madre Margherita) non gli concesse il permesso di sposarla per motivi mai ben chiariti ed oggetto di varie illazioni sulla stampa dell’epoca. Fondamentalmente per non destare il sospetto che un principe di casa Savoia potesse contrarre matrimonio con una donna non di sangue blu per ipotetici motivi di interesse economico.

Organizzata la colonia somala, era naturale che il principe sentisse la necessità di conoscere in ogni suo particolare il fiume che le da vita. Questo scorre nel suo tratto medio e superiore in regioni dell’Etiopia allora per buona parte inesplorate, o appena attraver­sate dagl’itinerari di vari viaggiatori, fra cui buon numero d’Italiani. Nessuno di questi s’era proposto di esplorare il fiume sistemati­camente. Erano ignote le sue sorgenti, la maggior parte del percorso, il numero e l’importanza relativa dei suoi tributari. Dalla cono­scenza del bacino idrico e del suo clima era probabile di poter trarre conclusioni utili per l’economia della colonia. Alla fine di ottobre 1928 organizza la spedizione da Hadama, sulla ferrovia Gibuti-Addìs Abeba, in quindici giorni perveniva a Hoghisò, a 2680 metri sul mare, dove sgorga il fiume, per la quale il duca aveva richiesto la collabora­zione di E. Cerulli etnografo, E. Tischer mineralogo, C. Basile na­turalista, capitano Palazzolo e tenente Broca, topografi, O. Pavanello meteorologo ed E. Angeli radiotelegrafista. Di qui, in poco meno di tre mesi, esplorò e compì il rilevamento di circa 1200 km. del suo corso, fino a Sulsul, nel piano della Somalia Italiana.

I molti anni spesi nell’Africa tropicale con brevi e insufficienti periodi di riposo in clima temperato avevano duramente provata la salute del principe, che andò declinando rapidamente negli ultimi due anni. Quando sentì la fine vicina, stoicamente lasciò l’Italia per terminare in pace e in solitudine (non ha avuto figli) la strenua vita nella terra che aveva redenta dal deserto, nel villaggio che aveva edificato, il 18 marzo 1933.

Sembra che negli ultimi anni della sua vita, il Duca avesse una relazione con una giovane principessa somala di nome Faduma. Secondo le sue volontà viene lì sepolto, sulle sponde del fiume Uebi Scebeli.

Preferisco che intorno alla mia tomba s’intreccino le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati.” (Luigi Amedeo di Savoia-Aosta prima della sua partenza da Napoli il 7 febbraio 1933)

BlBLIOGRAFIA: T. Silìani, L. dì S., Roma 1929; G. Vallanzi. L. A. di S. [discorso comm em.), ivi 1933; L. di S., duca degli Abruzzi, a cura dell’Ufficio storico della marina, ivi 1934; E. Curi, il principe esploratore, Rovereto 1935. Mirella Tenderini e Michael Shandrick, Vita di un esploratore gentiluomo. Il Duca degli Abruzzi. Milano, Corbaccio, 2006.

Per le campagne esplorative,  v. le singole voci geografiche.